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I colleghi sono persone, sì, ma fino a un certo punto.

 

La collega che nessuno di noi vorrebbe avere è, in primo luogo, donna. Un sondaggio privato, svolto su un campione di conoscenti, su un campione di 50 persone intervistate, 25 uomini e 25 donne, afferma che per il 90% del campione i colleghi peggiori sono donne.

L’età non conta, perché la collega che non vorremmo avere si classifica come insopportabile, fin dal primo giorno di stage e anche dopo anni di lavoro. La collega che non si vorrebbe avere è una passiva aggressiva ossia una vipera che esprime la sua frustrazione sorridendo amabilmente:

“no, non c’è problema, lo faccio io questo lavoro” (dovevi farlo tu, stronza),

“sì, per me va bene domani alle 5” (ecco, adesso devo spostare la ceretta!),

“certo, vado io in trasferta” (odio andare in trasferta)

ma anche personali:

“come stai bene” (sei ingrassata),

“sei stanca?” (sembri invecchiata),

“bel vestito” (ma dove pensi di essere, ai Grammy?),

“che simpatico il tuo ragazzo” (brutto e noioso come te),

“ah, l’hai fatto tu?” (si vede, è fatto male).

Al mattino alle nove, la collega che non vorresti avere, ti si piazza vicino alla scrivania e racconta, con dovizia di particolari, tutto ciò che ha fatto dal momento in cui ha lasciato l’ufficio, fino al suo arrivo. Siamo sempre informati, quindi, della qualità del suo sonno, del traffico sui mezzi pubblici, del programma TV – uguale a mille altri programmi TV – che ha visto. La collega, infatti, è noiosa. Racconta banali dettagli di vita quotidiana, non perché sia una persona priva di interessi – anche, ma non sempre, – ma perché in ufficio si sta a contatto uni con gli altri otto ore quotidiane e il tempo per fare cose folli è praticamente nullo. Il giorno in cui evitare come la peste la collega che non vorremmo avere è un qualsiasi giorno prima e dopo un ponte o le vacanze estive. Arriva armata di chiavetta USB in cui ha catalogato le mille foto scattate, tutte uguali a se stesse a a mille altre scattate da qualche altra donna di ceto medio, reddito medio, che vive da qualche parte del mondo che chiamiamo sviluppato. Dopo pranzo si forma un gruppetto di donne – gli uomini glissano abilmente – riunite a petalo di rosa intorno alla scrivania. La collega commenta, passo passo, ogni singola foto. Io, mi dissocio sempre, soprattutto perché i complimenti falsi non mi escono dalle labbra, perché in fondo non mi interessa e si nota.

Una collega che non vorremmo avere è maligna: sogghigna non appena qualcosa ti va storto fissandosi un’unghia perfettamente laccata, non tanto per non incrociare il tuo sguardo, ma per non mostrarti l’occhio che si illumina di soddisfazione.

La collega che non vorreste avere è indiscreta: pretende dettagli della vostra vita privata solo perché lei ama raccontare i suoi. A nulla varranno i vostri timidi dinieghi, la collega, non ci sente e vi incalzerà “allora, come è andata?” finché non porrete fine all’invadenza con un secco “bene”. L’invadenza accompagna tipi di persone diverse, i logorroici che scadono nella domanda inappropriata, i taciturni, che a volte rosi dalla curiosità buttano là una domanda un po’ ambigua e gli equilibrati, che anche loro, ogni tanto una padellata di affari loro se la potrebbero fare.

A questo proposito la collega che non vorreste avere è una pettegola: non fa in tempo a succedere qualcosa che lei lo riporta, distorto, a mezzo ufficio. Passa le pause caffè a sparlare del lavoro degli altri e critica qualsiasi decisione sia stata presa, non solo dai vertici dell’azienda, ma dai singoli lavoratori. Ho sentito personalmente una persona criticarne un’altra, addetta al rifornimento cancelleria e cose generali, per la qualità di carta igienica comprata.

La collega che non si vorrebbe mai avere è la lecchina del capo. Arriva per prima in ufficio, quando ancora albeggia, esegue tutti i compiti che le vengono affidati senza raziocinio: fa come le viene detto e non si interroga mai su quale sia il suo contributo. Il capo, in effetti, non può rimproverarla: semplicemente ogni tanto le dice “fai il passo successivo, fai uno sforzo in più”. Lei, mortificata e con le guance accese dalla vergogna, torna alla scrivania e inizia subito a scrivere picchiando sulla tastiera.

La collega che non si vorrebbe mai avere è una disposta a tutto per fare carriera. Barricata alla sua scrivania, che lascia a mala pena nelle pause pranzo, lavora con i paraocchi, tesa nel raggiungimento dell’obiettivo finale, per il quale è disposta a calpestare qualunque cosa intralci il suo cammino.

La collega che non si vorrebbe avere non ha voglia di lavorare, lei è qui, tra noi, in ufficio, ma per puro caso. Si è appena sposata e trilla “mio marito, mio marito!” ogni giorno, in relazione a qualunque cosa: lei vorrebbe essere solo moglie&madre e questo stipendio che si deve guadagnare le pesa, quindi scarica il lavoro sugli altri, in particolare su di te.

É una neo-mamma, una volta ragazza simpatica e presente, oggi impegnata in lunghe conversazioni telefoniche su “pannolino, cacchina, passeggino” con la baby-sitter. O in lunghe litigate con sua madre, nonna-babysitter. O in lunghe discussioni nervose, con il marito. Insomma, non lavora più – voi passate lunghe ore a finire il suo lavoro arretrato – e non ci si può nemmeno parlare.

La collega che non vorreste avere è quello che in un momento di bisogno si eclissa, sparisce, richiamata in bagno, al telefono, in un altro ufficio per le più svariate ragioni. Quando ci sono compiti da svolgere tutti insieme, lei non c’è mai, risucchiata da cose che la tengono sempre altrove e sempre per il lasso di tempo necessario a finire quel compito.

La collega che non vorreste avere, a volte, puzza. Nessuno riesce a dirglielo chiaramente ma, si sa, accade. Se sono episodi sporadici ognuno sopporta gli altri, se invece è uno stato di fatto, si fanno dei grandi conciliaboli e alla fine si fa un grande aprire di finestre, senza però, fiatare.

 

 

 

 

 

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Una donna al lavoro

Per Natale io voglio un bel paio di catene. Quelle robuste. Le voglio usare per legarmi alla scrivania così faccio contenta la mia capa: lavoro al primo posto e tutto il resto via, zac!, eliminato in un batter d’occhio.

Se mi regalate le catene io potrò implementare la mia produttività: eliminando dalla mia vita le cose inutili come andare/tornare da casa, dimostrerò finalmente alla mia capa che il mio atteggiamento è dedicato al lavoro: job oriented, come dice lei. Certo all’inizio non sarà facile dormire seduta, ma credo che riuscirò ad abituarmi.

Se avremo fortuna presto non sarà difficile nutrirci solo con pastiglie sintetiche e non dovrò perdere inutile tempo a togliere i lucchetti alle catene per andare a mangiare. Credo,comunque, che il ragazzo delle pulizie sarebbe disponibile a portarmi due pasti a settimana. Per il lavoro, posso farmeli bastare. Almeno 3 ore al giorno in più dedicate al lavoro. Poi c’è il problema dell’andare in bagno: ma ho pensato anche a questo, posso farmi mettere un catetere.
Per il lavoro, questo e altro. Per quanto riguarda il lavarsi, beh, il ragazzo delle pulizie può spolverarmi un paio di volte a settimana.
Dovrebbe bastare a rendermi presentabile in caso di visita dei Grandi Capi Americani.

Ci sarà poi il problema dei miei genitori che, sprovveduti, reclameranno la mia presenza. Ma io ci ho pensato: ho un telefono.
Anche se non dovrei fare telefonate personali dal telefono dell’ufficio ne farò qualcuna ai miei genitori dicendo che non posso andare a trovarli perché devo lavorare. Dirò lo stesso ai miei amici.

E se insistono beh, la vita non è eterna, prima o poi schiatteranno tutti e la smetteranno di infastidirmi con queste richieste che mi sottraggono tempo prezioso. E lo stesso vale per matrimoni, funerali e altre idiozie che la gente si ostina a considerare importanti. Io non ho tempo, ho detto. Devo lavorare.

Io, devo lavorare.

Forse, a forza di stare seduta, perderò l’uso delle gambe, ma potenzierò parecchio l’agilità delle dita delle mani e per il nostro lavoro avere mani che corrono veloci sulla tastiera vale di più che avere buone gambe, no? Quindi non mi lamento.

Smetterò anche di andare dall’analista: sono ben 2 ore in più a settimana da dedicare al lavoro e, se ben sfruttate, non sono poche. Anzi no! Forse non devo smettere può aiutarmi ad avere più self emprovement, come dice la mia capa. Concorderò delle sedute telefoniche. Secondo me si può fare. A breve termine, è un piano vincente: le ore lavorative quadruplicano, la mia vita diventa job oriented, la mia capa è felice e non dice più che il mio atteggiamento è inadeguato e problematico. Lei vuole che io sia sempre al lavoro. Io ci sono al lavoro. Anche in questo preciso momento. La mia capa può vedermi alla mia scrivania, seduta, che scrivo, con la faccia serissima e la ruga in mezzo alla fronte che hanno le persone concentrate nel fare un lavoro fatto bene.

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