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Elogio all’errore

Ci avevo creduto, ma ho sbagliato.
Ho sbagliato perché non ho dato ascolto alle mie emozioni fin dall’inizio.
Quindi sono tornata, perché ho bisogno di un posto dove sfogare tutti i pensieri che mi girano in testa.
Perché ho deciso che sarò serena e quando si hanno troppi pensieri non si è mai sereni.
Gli ultimi due anni sono stati dolorosi. Sono successe molte cose, ho sbagliato spesso ma oggi sono contenta di me.
Sì, avete capito bene: ho fatto degli errori e sono contenta di me.
Le due cose possono coesistere.
Ho imparato a darmi questa possibilità: posso essere imperfetta, posso sbagliare consapevolmente oppure in buona fede e, allo stesso tempo, posso volermi bene.
Credo si chiami accettare i propri limiti o una cosa del genere.
Sono sempre stata una perfezionista che pretendeva da se stessa e dagli altri il massimo e per questo ho sofferto.
Ho sofferto, per esempio, per anni pretendendo l’amore di persone che non erano interessate a me. Ho chiamato, telefonato, inseguito, implorato, ho sperato e mi sono massacrata pensando che ero io a non andare bene, a non essere abbastanza.
Ho sofferto continuando a dare la mia fiducia a chi mi aveva mentito fin dall’inizio. Sono stata disponibile, sincera, amorevole, ho accettato cose che in realtà non mi andavano bene.
Poi è scattato qualcosa.
Ho smesso di combattere.
Mi sono arresa. Ho accettato che posso sbagliare. Ho smesso di pretendere che i sentimenti delle persone cambino. Ho accettato che se uno non mi ama, ci sarà un altro ad amarmi.
Mi sono fatta la domanda chiave “tra zero e la persona che mi ama di più al mondo, questo quanto mi ama?” E non mi sono accontentata del 10%, del60% e nemmeno dell’80%. Voglio vedere se esiste il 100%.
Nel frattempo voglio tenermi occupata, quindi, rieccomi qui.

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Come si masturbano le donne? Vero e Falso

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“Masturbarsi è bello e fa bene alla salute, ti aiuta a scoprire il tuo corpo e un domani, quando farai sesso, potrai suggerire al tuo uomo dove deve andare a “toccare” per farti godere di più!”  

Martina,19 anni

La  masturbazione femminile ancora oggi è un mistero per molti uomini.  Torniamo ad affrontare l’argomento (già trattato dopo questo post sulla masturbazione e in quest’altro) perché mi sono arrivate delle email con delle domande specifiche cui, confrontandomi con un gruppo di amiche, tra i 16 e i 45 anni, abbiamo dato risposta.

  • Tutte le donne si masturbano ? QUASI VERO! In questo post avevamo detto sì! ma una recente inchiesta realizzata da un sito di incontri online (C-Date) la masturbazione è praticata regolarmente dal 92% degli uomini e dal 71% delle donne. Quindi non tutte, ma molte.
  • Si masturba solo chi non ha una vita di coppia  FALSO! Non si tratta di un palliativo del rapporto di coppia, ma di una parte della vita sessuale: alcune E il 50% dei partner tra i 25 e i 29 anni lo ha fatto in coppia.
  • Masturbarsi elimina lo stress  VERO! Durante l’orgasmo il cervello libera le endorfine, chiamate anche gli “ormoni del piacere”. Queste abbassano la pressione sanguigna, rilassano la muscolatura e apportano una sensazione di benessere attenuando dolori fisici (mal di testa, mal di stomaco, mal di pancia).
  • La masturbazione femminile è una pratica sporadicaDIPENDE. Alcune ogni giorno, alcune ogni settimana, altre … non è possibile stabilire una unità di misura! la risposta migliore è “quando ne hanno voglia”.
  • Con la masturbazione si raggiunge sempre l’orgasmo QUASI VERO! Una statistica dice che il 90% delle donne raggiunge l’orgasmo, mentre  il 10% delle donne soffre di anorgasmia, cioè provano desiderio e piacere ma non hanno orgasmi. Due donne su tre invece soffrono di disorgasmia, cioè raggiungono il piacere con la stimolazione del clitoride ma non con la penetrazione.  Ora questo in realtà non è un problema sessuale: semplicemente vogliamo ricordare ai maschietti che noi abbiamo bisogno di carezze mirate e non della semplice penetrazione.
  •  Le donne sono più inibite? FALSO MA… esistono, purtroppo, un gruppo di donne  frigide che hanno difficoltà a provare desiderio e piacere sessuale. In realtà questo non è un problema fisico (tranne in rarissimi casi) ma ci sono donne che vivono con senso di colpa l’atto di lasciarsi andare e di ascoltare le sensazioni del corpo femminile. La questione è sociale più che medica. Siamo certe che come le donne aiutano i loro partner impotenti ad avere una vita sessuale, all’interno di una relazione amorosa sia possibile migliorare la vita sessuale della donna e di conseguenza della coppia.
  • La masturbazione è una pratica solitaria FALSO! La masturbazione, reciproca o individuale, fa parte del rapporto sessuale, per cui molte donne si masturbano davanti  e insieme al proprio uomo.

Se avete altre domande —> diariodiurno@gmail.com

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10 tipi di uomini che non vorresti mai incontrare

Le ragazze  si sa, sognano di incontrare il principe azzurro. Succede però che, prima di trovarlo, si incontrino molti rospi.

Una selezione di 10 tipi di uomo che ho incontrato nella mia vita e che non vorrei più incontrare.

  1. Lo Sposato che ti dice di essere sposato
  2. Lo Sposato che ti nasconde di essere sposato
  3. Il Gay inconsapevole ,
  4. Lo Zerbino,
  5. Lo Scopatore
  6. Il Pari Requisiti
  7. Gli uomini che vanno a puttane;
  8. Quello che vuole sposarti
  9.  Il segaiolo manifestus
  10. Lo stalker romantico

E voi, quali altri uomini da evitare avete incontrato? 

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2013: 10 cose da fare per vivere meglio.

ImmagineForse avete avuto un anno duro e il vostro stato d’animo, oggi, oscilla tra lo scoraggiamento, la depressione, l’insoddisfazione e la preoccupazione. I sentimenti negativi partono da una sbagliata considerazione: ci si aspetta che gli altri ci rendano felici.In pratica si crede che la felicità sia qualcosa che gli altri ci donano. La frustrazione e l’insoddisfazione nascono proprio dal fatto che si aspetta che qualcuno ci faccia dei complimenti, ci gratifichi, ci promuova, ci giudichi belle, desiderabili etc. Far dipendere la propria felicità dagli altri significa condannarsi a una vita di perenne attesa e quindi frustrata.Come un cane che aspetta che qualcuno gli faccia una carezza, gli dia del cibo, lo porti a passeggio. Ma, ehi!, lui è un animale e quindi merita tutto il nostro rispetto e le nostre cure perché non può fare queste cose da solo, noi siamo esseri umani, possiamo provvedere a noi stessi. Essere felici è possibile, bisogna ascoltare se stessi e i propri desideri e bisogni e paure e sogni.

La relazione più importante è quella che avete con voi stessi. Non conta quanto siete ricchi, famosi, belli e amati da genitori, amici e fidanzati. Se non provate amore per voi stessi non riuscirete ad apprezzare tutto ciò che di buono avete nella vita.

Come fare, in concreto, ad amarsi di più? Un elenco di dieci cose semplici e pratiche che hanno migliorato la mia vita.

  1. Scrivete, ogni giorno,  una cosa bella che vi è successa o che avete fatto o che gli altri hanno fatto per voi e siate grati. Questo esercizio sulla gratitudine, all’inizio vi sembrerà faticoso, ma con il tempo imparerete a cogliere quanto di buono ci sia nella vostra vita, quanto essa sia preziosa per voi e per gli altri.
  2. Godetevi il presente. Il passato è andato, il futuro è nelle mani di Dio (comunque lo concepiate) ma il presente è vostro. Qui, ora. Adesso. Potete leggere questo post, o smettere o alzarvi o fare un sorriso o telefonare a qualcuno, uscire a fare una corsa, scegliere di piangere. O leggere. O mangiare. O tutto quello che volete. Ora, adesso, è il vostro momento. Siete i protagonisti del presente, non dimenticatevelo.
  3. Sorridete. 
  4. Siate sinceri con voi stessi. Mentirsi non serve a niente: le bugie che vi raccontate oggi, presenteranno il conto domani. Ascoltate i vostri desideri e i vostri bisogni più sinceri e prendetene atto.
  5. Abbiate coraggio. Se dovete lasciare qualcuno, lasciatelo. Se dovete dire a qualcuno che lo amate diteglielo. Se pensate che vi paghino poco, chiedete un aumento. Se volete provare qualcosa di nuovo fatelo. Se dovete chiedere scusa, fatelo. Se volete andare a vivere da soli, andate. Non rimanete in una situazione insoddisfacente solo per paura.
  6. Coltivate le vostre passioni, non importa quali siano, trovate il tempo per fare cose che amate. (Sì è possibile trovare il tempo: ad esempio spegnete la TV. Oooops quanto tempo libero! almeno 2 o 3 ore al giorno)
  7. Siate gentili con voi stessi: smettetela di stare a dieta, criticarvi, sentirvi sfigati, brutti, svantaggiati e in trappola. Qualunque siano gli aspetti di voi stessi che non accettate, smettetela. Questo atteggiamento serve solo a coltivare rancore, depressione, invidia e insoddisfazione. Il modo più semplice per sentirsi meglio è accettarsi così come siete.
  8. Viaggiate. Se non potete spendere soldi per andare lontano, viaggiate in Italia. (Ehi, viviamo in una delle nazioni più belle del mondo, ricordatevelo. No, non fate resistenza: tutti hanno amici o parenti in qualche città che possono ospitarvi)
  9. Frequentate i vostri amici. Se non avete amici reali è il momento di farveli: uscite, ascoltate, siate aperti, sinceri e sorridenti, gli amici arriveranno.
  10. Cambiate idea.  Siete sicuri che pensate certe cose perché sono giuste per voi o semplicemente perché le pensate perché vi siete affezionati alla vostra idea su quelle cose? Darsi la possibilità di cambiare idea, significa darsi la possibilità di cambiare vita.

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I colleghi sono persone, sì, ma fino a un certo punto.

 

La collega che nessuno di noi vorrebbe avere è, in primo luogo, donna. Un sondaggio privato, svolto su un campione di conoscenti, su un campione di 50 persone intervistate, 25 uomini e 25 donne, afferma che per il 90% del campione i colleghi peggiori sono donne.

L’età non conta, perché la collega che non vorremmo avere si classifica come insopportabile, fin dal primo giorno di stage e anche dopo anni di lavoro. La collega che non si vorrebbe avere è una passiva aggressiva ossia una vipera che esprime la sua frustrazione sorridendo amabilmente:

“no, non c’è problema, lo faccio io questo lavoro” (dovevi farlo tu, stronza),

“sì, per me va bene domani alle 5” (ecco, adesso devo spostare la ceretta!),

“certo, vado io in trasferta” (odio andare in trasferta)

ma anche personali:

“come stai bene” (sei ingrassata),

“sei stanca?” (sembri invecchiata),

“bel vestito” (ma dove pensi di essere, ai Grammy?),

“che simpatico il tuo ragazzo” (brutto e noioso come te),

“ah, l’hai fatto tu?” (si vede, è fatto male).

Al mattino alle nove, la collega che non vorresti avere, ti si piazza vicino alla scrivania e racconta, con dovizia di particolari, tutto ciò che ha fatto dal momento in cui ha lasciato l’ufficio, fino al suo arrivo. Siamo sempre informati, quindi, della qualità del suo sonno, del traffico sui mezzi pubblici, del programma TV – uguale a mille altri programmi TV – che ha visto. La collega, infatti, è noiosa. Racconta banali dettagli di vita quotidiana, non perché sia una persona priva di interessi – anche, ma non sempre, – ma perché in ufficio si sta a contatto uni con gli altri otto ore quotidiane e il tempo per fare cose folli è praticamente nullo. Il giorno in cui evitare come la peste la collega che non vorremmo avere è un qualsiasi giorno prima e dopo un ponte o le vacanze estive. Arriva armata di chiavetta USB in cui ha catalogato le mille foto scattate, tutte uguali a se stesse a a mille altre scattate da qualche altra donna di ceto medio, reddito medio, che vive da qualche parte del mondo che chiamiamo sviluppato. Dopo pranzo si forma un gruppetto di donne – gli uomini glissano abilmente – riunite a petalo di rosa intorno alla scrivania. La collega commenta, passo passo, ogni singola foto. Io, mi dissocio sempre, soprattutto perché i complimenti falsi non mi escono dalle labbra, perché in fondo non mi interessa e si nota.

Una collega che non vorremmo avere è maligna: sogghigna non appena qualcosa ti va storto fissandosi un’unghia perfettamente laccata, non tanto per non incrociare il tuo sguardo, ma per non mostrarti l’occhio che si illumina di soddisfazione.

La collega che non vorreste avere è indiscreta: pretende dettagli della vostra vita privata solo perché lei ama raccontare i suoi. A nulla varranno i vostri timidi dinieghi, la collega, non ci sente e vi incalzerà “allora, come è andata?” finché non porrete fine all’invadenza con un secco “bene”. L’invadenza accompagna tipi di persone diverse, i logorroici che scadono nella domanda inappropriata, i taciturni, che a volte rosi dalla curiosità buttano là una domanda un po’ ambigua e gli equilibrati, che anche loro, ogni tanto una padellata di affari loro se la potrebbero fare.

A questo proposito la collega che non vorreste avere è una pettegola: non fa in tempo a succedere qualcosa che lei lo riporta, distorto, a mezzo ufficio. Passa le pause caffè a sparlare del lavoro degli altri e critica qualsiasi decisione sia stata presa, non solo dai vertici dell’azienda, ma dai singoli lavoratori. Ho sentito personalmente una persona criticarne un’altra, addetta al rifornimento cancelleria e cose generali, per la qualità di carta igienica comprata.

La collega che non si vorrebbe mai avere è la lecchina del capo. Arriva per prima in ufficio, quando ancora albeggia, esegue tutti i compiti che le vengono affidati senza raziocinio: fa come le viene detto e non si interroga mai su quale sia il suo contributo. Il capo, in effetti, non può rimproverarla: semplicemente ogni tanto le dice “fai il passo successivo, fai uno sforzo in più”. Lei, mortificata e con le guance accese dalla vergogna, torna alla scrivania e inizia subito a scrivere picchiando sulla tastiera.

La collega che non si vorrebbe mai avere è una disposta a tutto per fare carriera. Barricata alla sua scrivania, che lascia a mala pena nelle pause pranzo, lavora con i paraocchi, tesa nel raggiungimento dell’obiettivo finale, per il quale è disposta a calpestare qualunque cosa intralci il suo cammino.

La collega che non si vorrebbe avere non ha voglia di lavorare, lei è qui, tra noi, in ufficio, ma per puro caso. Si è appena sposata e trilla “mio marito, mio marito!” ogni giorno, in relazione a qualunque cosa: lei vorrebbe essere solo moglie&madre e questo stipendio che si deve guadagnare le pesa, quindi scarica il lavoro sugli altri, in particolare su di te.

É una neo-mamma, una volta ragazza simpatica e presente, oggi impegnata in lunghe conversazioni telefoniche su “pannolino, cacchina, passeggino” con la baby-sitter. O in lunghe litigate con sua madre, nonna-babysitter. O in lunghe discussioni nervose, con il marito. Insomma, non lavora più – voi passate lunghe ore a finire il suo lavoro arretrato – e non ci si può nemmeno parlare.

La collega che non vorreste avere è quello che in un momento di bisogno si eclissa, sparisce, richiamata in bagno, al telefono, in un altro ufficio per le più svariate ragioni. Quando ci sono compiti da svolgere tutti insieme, lei non c’è mai, risucchiata da cose che la tengono sempre altrove e sempre per il lasso di tempo necessario a finire quel compito.

La collega che non vorreste avere, a volte, puzza. Nessuno riesce a dirglielo chiaramente ma, si sa, accade. Se sono episodi sporadici ognuno sopporta gli altri, se invece è uno stato di fatto, si fanno dei grandi conciliaboli e alla fine si fa un grande aprire di finestre, senza però, fiatare.

 

 

 

 

 

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La scelta degli altri.

Ho incontrato l’uomo giusto già due volte in questa vita.

Aveva gli occhi azzurri, trasparenti come il cielo a primavera, liquidi come il mare, freschi come brezza.

Aveva gli occhi scuri, crepitanti di vita come fuoco, enormi come l’universo.

Mi ha baciato davanti a un portone, l’ho incontrato su un treno.

Mi ha baciato dentro a un bar, la Mole brillava sotto le stelle, il Po scorreva lento.
Era sempre inverno, che non è vero che i cuori si accendono solo a primavera.
Abbiamo visto enormi foreste nere, abbiamo attraversato l’isola da una costa all’altra, dietro di lui su uno scooter.
Gli anni durano qualche minuto quando si ama.
Ci siamo persi, una volta perché non sapevo camminare da sola, l’altra perché ho avuto paura.
Ho incontrato l’uomo giusto, già due volte in questa vita, e l’ho perso.
foto di Ferdinando Scianna, fotografo siciliano
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Tipologia di donne: Felicemente Sposata

La Felicemente Sposata è una donna di età variabile tra i venti e i quaranta, che viene dalla provincia italiana, spesso non lavora o fa lavori precari e saltuari, e si riconosce da alcuni tratti distintivi.

Il primo è che la Felicemente Sposata ha organizzato minuziosamente il suo matrimonio.Ne ha parlato per anni. Ha fatto il countdown sulla bacheca di Facebook (oggi) o sul diario di scuola (ieri) disegnando cuoricini e scrivendo -123 giorni!!! Ha esaurito tutte le energie  –  e le ha fatte esaurire a famigliari, amici e sposo –  pianificando ogni minimo dettaglio. Lei non si concepisce completa senza di lui e il matrimonio, il sogno di essere protagonista per un giorno, serve a tirarla fuori per sempre dall’ombra.

La seconda caratteristica della Felicemente Sposata è che, dal giorno stesso del matrimonio,  trilla “mio marito, mio marito” ogni volta che apre bocca. Non importa se la conversazione sia su un paio di scarpe nuove, l’attacco di Israele a Gaza, i mondiali di calcio, le ultime puntate di Mad Men, lei tirerà in ballo il marito “mio marito dice che…”, “mio marito pensa che…”. La cosa sconvolgente è che queste donne sotto sotto sanno che il marito è un povero cristo qualunque e non Einstein ma quando parlano di lui sembrano sostenere “se lo pensa lui, mio marito, allora ha valore”.

La terza caratteristiche è che queste donne non hanno un proprio reddito, un proprio lavoro, una propria autonomia. Nei Paesi scandinavi le coppie in cui la donna non percepisce un reddito da lavoro sono meno del 4%, in Francia il 10,9%, in Spagna il 22,8%, nella Ue 27 il 19,8%. In Italia il 33,7% delle donne tra i 25 e i 54 anni non ha alcun reddito. Siamo ultimi nella classifica europea. ”Nelle coppie in cui la donna non lavora (30% del totale) è più alta la frequenza dei casi in cui lei non ha accesso al conto corrente (47,1% contro il 28,6% degli uomini); non è libera di spendere per sé stessa (28,3%), non condivide le decisioni importanti con il partner (circa il 20%); non è titolare dell’abitazione di proprietà”. Inoltre le moglie separate o divorziate sono più esposte al rischio di povertà rispetto ai mariti nella stessa situazione: 24% contro 15,3%. Da donna questi aspetti mi fanno molta tristezza. Sia perché non sono libere: dipendere economicamente da qualcuno significa essere assoggettate alla buona volontà e al buon cuore di quella persona, e significa che non è cambiato molto dal Medioevo. Sì, c’è una crisi mondiale, ma è anche vero che “la famiglia prima di tutto”, “no, è inutile che io studi, tanto mi sposo”, “non vale la pena trovare un lavoro dove devo viaggiare se poi farò dei figli e lo perderò”, e anche “mio marito non vuole che vado a lavorare a 20km da casa”, “mio marito dice che basta il suo stipendio”. So che sembrano frasi inventate invece sono frasi che sono state riportate a me dalle mie compagne del liceo classico.( E noi il liceo l’abbiamo finito tantissimi anni fa, quando della crisi non c’era nemmeno l’idea, un lavoro si trovava etc).

La cosa più triste però è che il lavoro non è solo uno strumento per l’indipendenza economica ma è anche una delle forme attraverso la quale possiamo realizzare noi stesse e contribuire allo sviluppo della società in cui viviamo. Io credo nelle donne e credo che ognuna possa dare un contributo alla società tramite la sua preziosa individualità. Per esempio se queste Felicemente Sposate mettessero nel lavoro la metà della passione, creatività e cura che hanno messo nel confezionarsi da sole i segnaposti per il matrimonio avrebbero un reddito, soddisfazioni personali e inizierebbero ad essere individui indipendenti e non la metà della costola di Adamo. E, Adamo forse, le rispetterebbe un po’ di più.

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Qualcosa di bello, ci succederà.

Milano, pausa pranzo di un giorno lavorativo. Due donne prendono il caffè, sedute all’aperto.  Il sole splende, l’aria è fredda. Una, mora, fuma una sigaretta dopo l’altra e beve un caffè americano. L’altra, rossa, si sfoga e fa raffreddare il caffè nella tazza. Io, seduta allo stesso caffè, osservo.

–         Ieri sera gli ho dovuto spiegare, per telefono, come riscaldare un pollo della rosticceria: non sapeva come si accende un forno!

–         È un uomo, perché ti meravigli, cara?

–         Ho 34 anni e sto con un coetaneo in piena adolescenza: voglio lasciarlo, subito! Voglio trovare qualcuno che si fidanzi con me, che mi sposi e che voglia fare dei figli nel giro di un anno.

–         Perché non gli dai tempo per crescere?

–         No.Se non ci è arrivato ora, non ci arriverà mai. Voglio trovare un fidanzato migliore per me.

–         Avrà pur dei lati positivi se state insieme da anni.

–         Sì, certo, ma è un immaturo egoista ed è gelosissimo! Non vedo l’ora di liberarmene.

–         Ok. Ora dimmi tre cose positive del tuo fidanzato.

–         Eh?

–         Sì, dimmi tre cose positive. Ti stai focalizzando solo sui lati negativi. Quando lasci qualcuno ti focalizzi su quanto questa persona non corrisponda a quello che tu avevi immaginato. Poi ti lasci e le cose negative svaniscono, si dissolvono, e la mancanza di quelle positive ti tormenta.

–         Non mi interessa: lui non è la persona giusta per me.

–         Forse non esiste la persona giusta così come la immaginavi. Voglio dire, forse le cose belle succedono quando meno te lo aspetti, in modo inatteso. Abbi pazienza e fiducia. Datti tempo, prima di lasciarlo.

–       Sarà ma io quello non lo sopporto più.

Sorrido. Le ragazze continuano a parlare, io non ascolto più. Penso a una cosa che ho letto in un libro, anni fa. Diceva che l’uomo sopravvive da millenni perché è un essere predisposto, per natura, all’ottimismo.  Se così non fosse l’uomo, fin dalla preistoria, si sarebbe nascosto in una grotta terrorizzato dalle intemperie, dai pericoli, dall’eventualità della morte e non si sarebbe evoluto. Siamo, invece, ottimisti di natura. Crediamo che qualcosa di bello, se non è già successo, succederà. E crediamo che succederà proprio a noi. E, paradosso, crediamo anche di meritarcelo.

Non cogliamo il paradosso del “quando meno te lo aspetti” ossia non esiste un momento in tutta la nostra vita, in cui non siamo predisposti ad accogliere quanto di bello può succedere. Inoltre non ci meritiamo proprio un bel niente, dobbiamo solo ringraziare di essere vivi qui e ora.

Vorrei avere ancora trent’anni e credere che qualcosa di bello, quando meno me lo aspetto, mi accadrà.

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Tipologie di donne: quelle che si masturbano, ossia tutte.

Nell’articolo che ho, per voi, amorevolmente scannerizzato, tagliato e copia/incollato, apparso sull’ultimo numero di Internazionale, la giornalista Laurie Penny, spiega che anche lo scandalo creato dal libro più venduto del momento, 50 sfumature di grigio, deriva, in sintesi, dal fatto che il mondo non è ancora pronto a sapere che le donne si masturbano.

 

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Sì, ha ragione la giornalista. Le donne si masturbano.

Tutte.

Sì, anche le vostre sorelle, anche le vostre madri, la zia Pina, la bibliotecaria Alfonsa. La donna manager. La liceale con la gonna a pieghe. La perpetua del prete. La vostra fidanzata. Tutte.

E se questo libro è un vibratore di carta, ho deciso che lo voglio anche io.

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La relazione più importante è quella che hai con te stessa.

Ieri ho avuto le chiavi della casa dove abiterò mentre ristruttureranno il mio appartamento
Sono entrata e mi sono sentita davvero triste: è l’appartamento dove andrò, è spoglio e senza vita, arredato con mobili di fortuna. Ci sono le impalcature fuori dalle finestre e non entra luce. E’ freddo e piccolo e spoglio e parla di vite transitorie, studenti che vanno e vengono, la signora Anna che ci viveva è ancora nel mobile che è rimasto nella camera da letto: è morta in quel letto e io me la ricordo bene.
Ho solo 9 giorni, che questo nove mi insegue da tempo. Mi consola pensare che è l’ultimo delle cifre e poi, si riparte di nuovo da zero. 
In realtà ho solo nove notti, perché il giorno lavoro e non posso permettermi di non andare al lavoro.
Ho nove notti di scatole, scatoloni, cose da buttare o da tenere, cose da organizzare, cose che devono trovare una nuova sistemazione. 
L’unica che veglierà su di me è la mia gatta, non ci sarà nessun altro, in questo trasloco, a vedere cosa sceglierò di portare avanti nella mia vita e che cosa sceglierò di lasciare nella vecchia vita.
Questo è il dodicesimo trasloco, il secondo in un anno bisestile, o forse il terzo, che sono nata in un anno bisestile, come la mia gatta, e mi pare che anche l’anno in cui lei è nata abbiamo traslocato.
Passerò l’inverno sola, in un appartamento di fortuna, alla luce di qualche candela io e la mia gatta veglieremo sui nostri ricordi
Il nostro compito sarà lasciar andare le nostre vite passate per rinascere a primavera. Immagine

 

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